Dobbiamo trasformare il prodotto in una promessa, intervista a Lorenzo Marini.

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Una sua frase divertente: “I voli delle marche che parlano del prodotto sono affascinanti quanto una gallina al tramonto che cerca di fare il gabbiano”. Tra le piccole aziende la battaglia quotidiana è proprio convincerle a smettere di parlare della presunta qualità del prodotto. Come scardinare questa cultura fossilizzata sul prodotto? 

Capisco il problema: non è facile, perché noi pensiamo di fabbricare e quindi vendere prodotti. Il problema è che un prodotto lo acquisti se ti racconto una storia. E una storia deve essere simile a come sei te. Quindi nel futuro la lotta non sarà più tra prodotto e prodotto, ma tra storia e storia, immagine e immagine.

I prodotti che diventano marca, brand, sono quelli che vincono la sfida del futuro, perché diventano significativi per il consumatore.

Se tu resti a fare prodotti, poi arrivano i cinesi e ti sconfiggono, perché noi non siamo bravi a fare prodotti, siamo bravi a fare brand. In questo, i francesi hanno dimostrato al mondo che riescono a vendere la plastica a un prezzo più alto della pelle. Come facciamo a dimostrarlo ai piccoli imprenditori? Basta prendere il prodotto, che oggi è idea e dimostrargli che ce ne sono altri cinque uguali. Se il prodotto fosse diverso sarebbe giusto raccontare la specificità di questo prodotto, ma oggi quasi tutti i prodotti si assomigliano e la differenza sta nella personalità della marca e nel tipo di promessa che questa marca va a rispondere, va a toccare.

Vendiamo e compriamo illusioni.” Pensando alla domanda precedente, c’è una frattura: il mercato guarda ai brand, aziende e agenzie spingono prodotti. Abbiamo bisogno di curare di più il posizionamento di marca che di prodotto?

Possiamo riassumere così questa schematicità: 
A- il primo livello è chi produce i prodotti;
B- il secondo è chi riesce a trasformare il prodotto in un brand: un corpo di fango di Adamo ed Eva che riceve il soffio di vita e da quel momento comunica;
C- il terzo livello: qui risiede l’icona: Marilyn Monroe è un’icona, Nike è un’icona, Apple è un’icona. Non si parla più del prodotto. Ad esempio, l’ultima campagna di iPhone del 2017, in tutto il mondo è “Scattata con iPhone”, non c’è più l’ ”iPhone”. È stata incarnata molto bene la sociologia del momento, perché un telefono non serve più a telefonare e quindi lo vendono come macchina fotografica. Devi chiederti che cosa vuole il consumatore in QUESTO momento. In QUESTO senso è corretto dire “racconto un sogno”, perché il sogno è immateriale, la realtà è poco interessante: il consumatore lo trova a metà prezzo, va all’Ikea che ti dà una garanzia di vent’anni.

Perdi se fai la battaglia del prodotto. Fai la battaglia della marca!

Pensando a un libro di Andrea Bettini “Non siamo mica la Coca-Cola, ma abbiamo una bella storia da raccontare”. Esiste questo pregiudizio per cui solo le grandi aziende possono avere un racconto di marca efficace al posizionamento? Vendere un sogno è fattibile anche per le PMI?

La PMI, in realtà non fa sogni più piccoli, perché il consumatore a cui si rivolge è comunque uno che ha dei problemi. Quindi questo prodotto non serve altro che a risolverti un problema. Faccio un esempio. La frase “i dieci comandamenti”, non è molto interessante perché rimanda a un decalogo. Ma se noi diciamo “le dieci regole per la felicità eterna”, diventa interessante, perché c’è una promessa nel titolo.

La cosa importante è fare una promessa e un prodotto ovviamente la deve giustificare.

Penso che sempre più frequentemente dobbiamo trasformare l’oggetto (quindi il prodotto che compri) in una promessa, perché questa ti aiuta a risolvere un problema. Che sia fatto dalla piccola, dalla media o dalla grande impresa poco importa: risolve un problema.

Il budget è un limite per tutti, ma per le PMI di più. Oggi esistono canali presidiabili a basso o a zero budget, e molte PMI si arrangiano. C’è una parte di progetto di mktg e comunicazione (analisi preliminare, strategia, creatività, produzione finale) su cui consiglierebbe di non andare comunque a risparmio?



Le idee sono come dei diamanti e il tipo di anello su cui metti il diamante può cambiare: può essere di plastica, di acciaio, di vetro, di rame, d’ oro, d’argento. Ma senza idea quell’anello è niente, solo un cerchio. Il fatto che oggi, rispetto a quando ho iniziato io questo lavoro, abbiamo molti più media, vuol dire che abbiamo molte più possibilità. Una volta un’azienda arrivava a farsi al massimo un catalogo che era un mezzo statico. Guarda adesso con il digital, con il web e con i canali specializzati quante più possibilità abbiamo di diventare dinamici e quindi di raccontare storie che coinvolgono non solo la vista ma anche l’udito! La televisione è il mezzo più potente perché coinvolge due sensi e questo vuol dire che molti oggi hanno la possibilità di fare cose che 10, 20 anni fa non potevano fare. Trovo sia una bellissima opportunità: per le PMI è più facile comunicare oggi.



Il rilancio di un brand storico è sempre un caso di scuola interessante. Pensiamo a un esempio: come si affronta un lavoro come Pernigotti? Qual è l’atteggiamento mentale con cui iniziare a pensare a un riposizionamento?

L’analisi è la cosa che aiuta tutti: noi siamo creativi proprio perché usiamo combinare la mercanzia e la poesia. Fare questo lavoro come mercanti non ci rende abbastanza suggestivi e fare questo lavoro come poeti non ci rende abbastanza concreti. Pernigotti? Rilanciare un brand che aveva molta polvere nel suo vissuto, ti stimola a creare qualcosa di nuovo ma rispettando delle preesistenze: se io faccio praline o cremini devo fare qualcosa che ammoderni la percezione della marca attraverso altri prodotti ma che non mi faccia perdere i clienti che mi sono fedeli. Quindi si tratta di un caso di armonia tra il continuare ad essere quello che sei, ma con un aspetto nuovo. In fondo, da una madre e da un padre nasce un figlio con delle caratteristiche comuni ai genitori. Quindi nel caso di Pernigotti l’interesse principale era contrapporci, ad esempio, al mondo goloso dell’alta pasticceria di Lindt e al mondo di Ferrero dove ogni prodotto risolve un problema attraverso un mondo di targhe: “Per chi è nato Pernigotti? Qual è la sua mission?” “Pernigotti è per te.” Ciò vuol dire diventare molto più democratici e trasformare questa nicchia di pasticceria ergoriferita in un mondo di cioccolato per tutti.

Una riflessione più culturale: il marketing è da sempre prigioniero di una metafora bellica e di un vocabolario guerresco (target, presidiare, campagna etc). È il momento di ripensare questa metafora? E quale rappresenterebbe meglio la sua visione del nostro lavoro?

È vero che noi usiamo delle parole, purtroppo, tutte di matrice anglosassone, perché il lavoro della pubblicità non è nato in Italia e quindi la cultura americana e inglese la fanno da leader nel mondo. Tuttavia il termine “target” che è mutuato dal mondo della guerra, può essere sostituito con “partner”: il consumatore non è più qualcuno da “violentare con provocazione” ma qualcuno da “sedurre con armonia”. Coi “partner” si instaura un dialogo, c’è un rapporto di amicizia e l’azienda inizia a mostrarsi così com’è, senza tante sovrastrutture, perché in fondo si può amare solo ciò che si conosce. E come faccio ad amarti se non ti conosco? Ecco che più l’azienda parla scendendo da un piedistallo e con un tono amichevole, più il consumatore la sente vicino. Ed è questo ciò di cui abbiamo bisogno!

Abbiamo bisogno di marche amiche, non di marche che ci guardano dall’alto, ma di marche che ci stanno attorno. Più l’azienda riesce a comunicare la sua marca, il suo brand come un fatto amicale, più il consumatore diventa amico della marca.

Quando c’è un’emergenza la gente chiama il Gabibbo, non chiama più i carabinieri, perché è un brand amico! È più facile che chiami Le Iene o Report quando c’è un problema, che non la magistratura. Perché ho un amico, ho un brand ben umanizzato. L’umanizzazione dei prodotti ha storia antichissima come Mastrolindo, Capitan Findus, Tonno Nostromo. Comunque sia una parola non ti basta, ti serve anche un’immagine, una struttura. Quindi sì. È tempo che l’azienda inizi a parlare col consumatore, perché se diventi mio amico, io divento amico tuo.

Un’ultima domanda. Negli ultimi anni si fa molta confusione tra il termine marketing e il termine comunicazione. Su facebook sembra che tutti stiano parlando di marketing e invece stanno parlando di comunicazione. Cosa ne pensa?

Se proviamo a pensare a tutte le variazioni che la parola marketing porta con sé, ce ne sono un centinaio: ciò vuol dire che il marketing è un diamante con molte facce e di per sé non è un fatto numerico, è un fatto di comunicazione. Il marketing è una forma più logica che la comunicazione possa avere. Dividere il marketing dalla comunicazione sarebbe come dividere l’astrologia dall’astronomia: sono due discipline nate assieme.

Chi è Lorenzo Marini

Lorenzo Marini, originario di Padova, è oggi il titolare di Lorenzo Marini Group con sede a Milano e New York. Prima di fondare la sua agenzia ha lavorato per le più importanti agenzie di pubblicità nazionali ed internazionali come Ogilvy, Leo Burnett, Armando Testa, Dorland, Ayer. Autore di quattro saggi e due romanzi, è professore universitario, speaker di Radio 2 e destinatario di oltre 200 premi in 15 anni. Marini è anche artista e le sue opere sono state presentate in mostre d’arte con grande successo

www.lorenzomarinigroup.com/

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