Un pubblicitario dovrebbe ragionare in maniera importante sul capitale narrativo della marca. Intervista a Paolo Iabichino.

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In un suo libro si legge che che la pubblicità ha bisogno di un interlocutore con il quale marche e prodotti devono mettersi in relazione. Si supera la logica del bisogno per sposare l’etica del servizio. Come si fa a instaurare un rapporto di fiducia tra marca e consumatore? Come bisogna agire per far sì che questo legame sia duraturo?

Questo lo scrissi undici anni fa su “Invertising”, il mio primo libro con l’intenzione di suggerire un’inversione di rotta rispetto alle modalità tradizionali di rivolgersi ai propri target. Nel ragionamento emerge che la logica del target e della comunicazione pubblicitaria tradizionale può essere rivista e ridisegnata in una logica di maggiore coinvolgimento e questo si fa laddove i contenuti delle marche, ovvero ciò che viene messo in circolo in termini comunicativi dalle marche, si sforza di essere il più possibile rilevante e la rilevanza si ottiene non tanto ragionando sui customer insight, quanto, forse, sulle tensioni culturali. Ci sono marche che ormai da tempo, stanno abbracciando posizionamenti che sembrano essere delle vere e proprie prese di posizione: non sono più preoccupate di comunicare le caratteristiche del prodotto, le sue funzionalità, ma si preoccupano di risolvere problematiche di tipo culturale delle tensioni. Dentro Invertising, come esempio principe citavo il caso di Dove, che smette di preoccuparsi delle funzioni di prodotto per abbracciare il tema dell’autostima femminile.

Da lì in avanti sono state tante le marche che hanno fatto questo tipo di operazione e sempre di più sono i brand che stanno abbracciando anche delle urgenze come quelle ambientali, o il sistema della gender gap, dell’esclusività e così via.
Queste sono tutte scelte di campo che danno maggior rilevanza alle comunicazioni di marca,

proprio perché agiscono per risolvere problematiche identitarie, di comunità intere e questo le aiuta se sono credibili a mantenere nel tempo la relazione, perché le marche vengono agganciate dal pubblico, come ad esempio sui loro canali digitali e questo favorisce una relazione più duratura che non è basata solamente sul ciclo di vita del prodotto. Ma è basata proprio su quello che la marca riesce a dire e a dare alle persone che aderiscono al proprio pubblico.

Questo suo suggerimento, che frutti ha dato? Si è realizzato? Si è evoluto nel corso di questi anni?
Sì. Sono sempre più numerose le marche che per i propri posizionamenti hanno scelto di prendere posizioni. Si è evoluto in questo senso perché sono diventate ormai inderogabili alcune tematiche che sono state lasciate scoperte da chi se ne doveva occupare concretamente come la politica e le istituzioni.

Quindi le marche hanno gioco facile provando nel loro piccolo o nel loro grande a farsi carico di determinate istanze che adesso sono inderogabili.

 

Cosa dovrebbe tenere a mente un pubblicitario prima di ideare la strategia dell’identità di un brand?
Dovrebbe ragionare in maniera importante sul capitale narrativo di questa marca, cioè capire quali sono i valori fondativi e il perché si è sul mercato come diceva Simon Sinek. Ovvero: qual è lo scopo per cui tu decidi di fare mercato? Perché se lo scopo è solo il profitto e guadagnare, si costruisce un’attività di marketing pagata sulla performance spinta.

Quando invece i valori fondativi sono un po’ più nobili, nel senso che si entra nel mercato per migliorare la vita delle persone attraverso il prodotto, attraverso un servizio, attraverso la marca, allora il ragionamento di marca e la strategia di marca che ne è all’origine, ne deve tenere assolutamente conto e deve partire da lì. Quella è la vera cosa che deve essere comunicata.

Tre aziende italiane che hanno un posizionamento di marca ideale. In questi termini, ci sono aziende che hanno fatto un vero e proprio salto di qualità in quest’ultimo periodo?

Banca Etica per esempio è una marca che ha un bellissimo posizionamento e modello di business. Penso, inoltre che nell’ultimo periodo abbia fatto un notevole salto di qualità anche in termini comunicativi: le ultime attività di comunicazione, gli spot con Pietro Sermonti sono sicuramente qualcosa a cui guardare.

Per quanto riguarda altre aziende che hanno un posizionamento di marca ben disegnato, Davines sta facendo un gran lavoro e nell’ambito del business to business non è così semplice darsi un posizionamento di marca così riconoscibile. Loro ci sono riusciti.

https://it.davines.com

Per quanto riguarda il business to consumer, un buonissimo brand che in qualche modo si sta muovendo con delle buonissime logiche di posizionamento, sicuramente è Brunello Cucinelli che sta rispondendo ad alcune tematiche contemporanee in maniera molto adatta.
http://www.brunellocucinelli.com/en/

Chi è Paolo Iabichino
In pubblicità dal 1990, Paolo Iabichino ha passato gli ultimi anni ai vertici di WPP come direttore creativo esecutivo di Ogilvy Italia. Ha inventato e declinato il concetto di Invertising in un libro che è diventato un vero e proprio manifesto per un messaggio pubblicitario rinnovato e consapevole. Due volte giurato al Festival di Cannes, si occupa di creatività e nuovi linguaggi di comunicazione dentro e fuori i social media. Fa parte del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Storytelling dell’Università di Pavia. Nel 2017 ha pubblicato con Codice Edizioni Scripta Volant – un nuovo alfabeto per scrivere (e leggere) la pubblicità oggi. Hoepli gli ha affidato la direzione della collana “Tracce”, che vuole diventare un atlante del nostro tempo, scritto da pionieri ed esploratori e letto da chi continua ad aver voglia di percorrere nuove strade. È stato Maestro del College Digital della Scuola Holden per il Biennio 2018-2020.

Photo credit: Daniele Barraco

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