Un estratto del Suo articolo che si può leggere integrale qui:
“L’originalità in comunicazione è sempre stata una caratteristica rilevante e capace di rendere il messaggio più incisivo. Questo perché una comunicazione originale innesca una sorpresa inaspettata da parte delle persone, rispetto a un contenuto di cui non hanno avuto esperienza prima. Questo ingaggio risulta essere un processo di ancoraggio alla marca”. Qual è il segreto per essere accattivanti per il pubblico ma pur sempre mantenendo un posizionamento di marca efficace? Può farci qualche esempio di aziende vincenti in questi termini?
L’originalità deve essere necessariamente una delle direttici della creatività, non solo come intenzione creativa, ma io aggiungo, anche come effetto di un buon lavoro di analisi e di brief. Infatti, una buona idea, non può essere valida per tutti i brand dello stesso segmento, questo perché ogni brand ha un posizionamento, un’identità, un proprio linguaggio, ma soprattutto un proprio obiettivo di comunicazione. Anche se pensassimo a due brand omologhi per caratteristiche, con obiettivi di posizionamento simili, la personalità di marca di ognuno dovrebbe marcare una differenza sostanziale nei toni della comunicazione. Originale quindi, non è solo un contenuto unico, ma anche un unico modo di esprimerlo in modo diverso e personale.
Se paragonassimo i brand come a delle persone, potremmo intuire che ognuna debba rispettare una propria personalità che la rende diversa e unica: quando questo non accade c’è un problema di comunicazione. Oggi nella comunicazione digital spesso si assiste ad un appiattimento di questo principio.
In primis, perché i brand si adeguano ad un linguaggio giovanile che spesso non gli si addice, pensando che dietro ad un device ci siano solo dei nerds. In secondo luogo propongono contenuti parassiti, ossia contenuti che i dati confermano come di successo, e che vengono replicati continuamente con minime variazioni. Il web è pieno di immagini parassite, ossia quelle immagini ritenute da tutti efficaci e per questo imitate e riproposte. Pensiamo alle immagini dei gatti, che online spopolano, se metti un gatto hai sicuramente molti likes!
Quello che è necessario fare invece è accettare la sfida creativa e studiare un linguaggio proprio,
raccontandosi nel web seguendo uno storytelling preciso e reale. E’ finita la messa in scena. Oggi si è capito che la vita vera è ciò che interessa di più, nulla di sofisticato o edulcorato, il brand deve avere il coraggio di raccontarsi aprendo un dialogo non filtrato con le persone, ed essere scelto per i contenuti che propone. Pensiamo solo a quanto affascinano i real-soap proposti dalla tv, i casi come Pamela Prati e il suo Caltagirone, veri romanzi a puntate seguiti da migliaia di persone affascinati dalla storia “reale” o pseudo tale.
Nulla è più interessante e originale della realtà. Nulla stupisce di più, e lo stupore è quello che ancora il ricordo alla marca, sia esso nato da un’emozione, o elemento estetico o ironico.
Uno spot manifesto, che secondo me rompe una tradizione in modo ufficiale, rispetto alla messa in scena di quei valori aspirazionali della pubblicità pre-digital, è lo spot del Buondì, in cui un meteorite cade sulla mamma. Irriverente, sacrilego ci dice che un modello di famiglia vecchio e patinato è finito per sempre, e la realtà deve essere il punto di partenza di un dialogo con le persone sullo stesso piano. La reputation sarà il valore assoluto che nei prossimi anni dirigerà gli acquisti delle persone, lo sanno bene i grandi del web come Amazon, Booking, Tripadvisor, Google, che permettendoti di recensire i prodotti, prevedono che quelli con maggior stellette saliranno nella graduatoria delle scelte, creando una vera e propria sfida di mercato a botta di giudizi, perché un prodotto o servizio ben recensito ci offre una garanzia vera statistica di apprezzabilità, quindi siamo più disposti ad acquistarli riducendo così l’ansia del rischio di un acquisto online. Costruire una buona reputazione sarà la sfida. Non sarà più sufficiente essere famosi, in questo territorio nuovo bisogna essere digital e incontrare il favore reale degli utenti per affermarsi. Un caso interessante è 24bottles, la bottiglia termica in metallo che in brevissimo tempo è diventata un must, un prodotto icon, che racconta del nostro tempo, e si è diffusa costruendo una sapiente strategia digital sui valori, del riuso, risparmio e rispetto dell’ambiente. Le persone hanno aderito spontaneamente ai contenuti proposti, e si sono sentiti naturalmente in feeling, condividendo questo prodotto come fosse oggi un vessillo di lifestyle cool, progressista, sano e ambientalista. In casa, in ufficio, in palestra averla è diventato un simbolo che ti caratterizza.
Sempre dallo stesso articolo: “[…] pensare ai social come un magazine, o un mezzo per imporre alla rete pubblicità travestita, risulta poco credibile e inefficace.” In quali occasioni una marca può perdere il suo posizionamento se si adagia troppo sui social?
Secondo me non è un problema di “adagiarsi” ma è un problema di utilizzo ottimale dei vari mezzi. Innanzitutto
i social sono molto importanti ma non sono ancora dei mezzi divulgativi totali
Non incontrano tutti i target e non sono adatti a comunicare in modo approfondito, poiché l’attenzione è davvero bassa. Pensiamo che per un video l’attenzione media è di sei secondi. Sicuramente i brand non devono adagiarsi sui social ma devono capire che sono strumenti utili e fondamentali per la comunicazione, perché ti mettono in contatto diretto con il consumatore. Con i mezzi classici, tv e stampa il fruitore era in una posizione passiva e non dialogica, con i social si è inaugurato il concetto di engage e interazione, che di fatti porta l’utente ad esprimersi e dialogare con il brand. Ecco perché una buona strategia social deve partire dal presupposto di non utilizzare questi mezzi come fossero dei magazine, ma invece considerare che una corretta gestione dei contenuti può favorire l’interazione e la costruzione della brand reputation. Postare foto patinate, non aggiungere testo, non rispondere agli utenti, non è certo la modalità giusta. I social devono essere usati in prima persona, come se fosse una vera persona che dialoga con la rete, con materiali fotografici più sinceri ed un occhio alla vita reale meno filtrato.
La moda, ad esempio, per natura progressista e anticipatrice, ha colto questa essenza ed infatti abbiamo visto molti brand famosi trasformare i propri linguaggi patinati delle riviste e normalizzarsi con storytelling real che gli utenti hanno premiato. Versace, Dolce&Gabbana, Burberry, calano i veli e si mostrano nella loro quotidianità attraverso i social dei propri stilisti. Raccontano del lavoro e della vita senza filtri, talvolta anche sbagliando, scivolando nel ridicolo, ma con diretta sincerità che piace al mondo digital e che soprattutto ha avvicinato questi mondi che per anni erano olimpi chiusi ed elitari. La moda inoltre è stata la prima a fortificare la sua presenza sui canali e-commerce, quindi si è dimostrata attenta e in linea con i tempi, sentendo meno la crisi commerciale che invece il web ha causato in certi mercati. La figura icona del nuovo storytelling è La Ferragni, che incarna quell’idea che la propria vita sia un film da raccontare e che dimostra che le persone sono interessate alla vita vera. Blogger, influencer, youtuber, figure potenti come un’emittente televisiva quando raggiungono milioni di follower, e che ci fanno capire che ognuno di noi nel proprio piccolo può esercitare un’influenza nella rete di rapporti che ha. Tutti noi siamo comunicatori, tutti agenzia di pubblicità, ogni volta che esibiamo un marchio, un prodotto, sui social, stiamo facendo una comunicazione pubblicitaria. L’esplosone del merchandising nella moda, con i marchi che svettano sui cappellini e sulle maglie ovunque, non è altro che la sapiente intuizione che ogni selfie diventa una campagna pubblicitaria. La moda non ha più bisogno dei giornali, perché ha il mondo che ogni giorno le restituisce foto fantastiche spontaneamente, senza diritti o compensi. Ecco i brand devono diventare influencer, devono comunicare contenuti che attraggono gli utenti a stabilire con loro una connessione spontanea. I social quindi non sono solo contenitori ma veri mezzi strategici in grado di fare la differenza in comunicazione, ma le aziende ancora non guardano in modo approfondito a questa opportunità. Gli investimenti sono bassi e i risultati sono ancora tutti da raggiungere.
I social network, secondo Lei, hanno influito nel rapporto tra marca e consumatore? Perché?
I social, sono stati una rivoluzione che ha stravolto completamente lo scenario della comunicazione. Ciò che era importante prima, non lo è stato più dopo. Hanno influito nel rapporto tra consumatori e marca, ma anche nella relazione tra aziende, agenzie e le figure professionali.
Gli investimenti si sono spostati dai media classici al web, anzi negli ultimi anni, in cui c’è una presa di coscienza più forte rispetto all’importanza strategica di questi new media, la corsa delle aziende a dedicare investimenti al web si è fatta più incalzante. Tutto il mondo della comunicazione ha operato una traslazione, gli stessi mezzi classici si stanno trasformando in versioni digital e la stessa tv, assomiglia sempre di più a youtube con le proposte on demand e le videoteche online. Ma la vera rivoluzione è il marketing che è cambiato, non più target da colpire, ma persone con cui instaurare una relazione attirandoli con strategie di contenuti interessanti. I social hanno decretato un modo diverso di fruire i contenuti. Un modo completamente nuovo di capire come entrare in relazione con le persone. Quindi sì,
i social hanno cambiato definitivamente il modo di comunicare, non si torna più indietro. Anzi, si evolverà tutto a grande velocità,
così come noi dobbiamo uploadare le nuove versioni delle app, così ogni giorno cambieremo la nostra modalità di avere rapporti con i prodotti, o servizi. Con i social siamo anche noi molto più flessibili e inclini alle innovazioni. I social sono stati capaci di stimolare aziende all’innovazione, e ne hanno create tante di nuove e soprattutto hanno instaurato un nuovo modo di fare comunicazione che noi agenzie abbiamo dovuto accogliere, capire e imparare. Oggi, è il contenuto il fattore critico di successo, contenuto in grado di attirare le ricerche degli utenti, e di offrire loro risposte utili ai loro bisogni.
Non più out bound, ma in bound marketing.
Dobbiamo essere lì dove c’è la ricerca. E questo è possibile solo con una strategia di contenuti. Dunque, il futuro che si apre è verso la scrittura e il prodotto raccontato e recensito dagli utenti che effettivamente lo usano. La creatività sarà misurarsi con i meccanismi di funnel e magnet in grado di incanalare le persone in uno storytelling che lo condurranno verso la scelta del prodotto utile ai loro bisogni.
Se il proverbio dice che un’immagine vale più di mille parole, oggi, una parola vale più mille immagini soprattutto se è seo oriented, perché incontrare la domanda online è la nuova opportunità, le risposte del consumatore la nuova reputazione.
Chi è Lorenzo Cecchinelli
Svezzato e battezzato copy in Mc Cann Erickson Milano. Nel 1997 entra nel team MPR Comunicazione Integrata e dal 2005 ne è il Direttore creativo. Precussore della comunicazione creativa nel mercato della nautica e dei beni di lusso, molti sono i riconoscimenti ottenuti tra cui il – Harvey Verbatim Award NY, Gran Prix della pubblicità, 2 Key Award, 1 Best Event Award e oltre 30 Mediastars. Esperto di nuovi media è spesso Invitato da diversi istituti universitari come docente ospite durante approfondimenti sulla materia della comunicazione. Pubblica poesie, suona il pianoforte e segue regie teatrali. Pubblica con edizioni Albatros.
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