Siamo vincenti se abbiamo scelto bene i punti dove scavare la roccia, intervista a Francesco Sordi.

single-image

Secondo Lei, perché è così importante applicare un metodo scientifico e rigoroso al Marketing?

Io lo racconto così: dopo la grande euforia degli anni ’80 e ’90, il mondo è profondamente cambiato e non abbiamo più il margine di errore che invece avevamo quando c’erano meno concorrenti e più clienti con maggior disponibilità di spesa.

Oggi non possiamo permetterci di “provare e sperare” che le nostre azioni di marketing vadano bene e quindi abbiamo bisogno di pensare molto di più rispetto a quanto facevamo qualche anno fa.

Il metodo scientifico è quello che riesce a garantire un risultato. Infatti, i due autori del marketing scientifico, quelli che se lo sono un inventato nel 2000, anno in cui l’economia era ancora trainante, sono partiti da questo concetto: il marketing assume sempre più un ruolo cardine nelle aziende, come possiamo far sì che chi fa marketing possa dare ragione delle proprie scelte agli azionisti e ai dipendenti? E allora si sono immaginati una disciplina dove il marketer possa fare marketing proprio come un ingegnere progetta un ponte, quindi facendo una serie di analisi e di calcoli prima di costruirlo. Invece il marketing è stato sempre pensato così: “Prima facciamo il ponte e poi vediamo come va”. Se va bene ok, se non va bene lo rimettiamo un po’ in sesto. Invece l’approccio scientifico è proprio l’inverso di questo modo di agire.

Secondo Lei, le ricerche di mercato qualitative e quantitative rappresentano ancora oggi mezzi basilari per indagare in profondità i bisogni, le tendenze e le preferenze dei consumatori, anche se non sempre attendibili?

Sì, tant’è che una buona parte del mio lavoro come consulente di marketing consiste nel fare analisi qualitative in profondità e analisi quantitative. Nel 2017 ho aperto anche una Startup innovativa, Surf the Market, per sviluppare un software che sviluppa analisi di tipo quantitativo sulla percezione dei clienti. È vero che non possiamo prendere sempre per verità assodata quello che i clienti ci dicono. Questo non vuol dire che non dobbiamo indagare le loro percezioni e le loro opinioni: vuol dire che dobbiamo incrociare i dati dell’analisi della domanda con altre forme di dati.

Io sostengo sempre che per prendere una scelta strategica dobbiamo incrociare almeno due o tre analisi diverse.

Quindi: così come non prenderei mai una decisione basata solo sui numeri di vendita, così non prenderei a una decisione che si basa solo su un’analisi qualitativa e/o quantitativa.

Queste ricerche di mercato in cosa consistono? Sono delle indagini? Delle interviste?

Sì, solitamente facciamo un’analisi della percezione dei clienti: quindi, in sostanza, si strutturano in:
• una parte di analisi dei bisogni per capire quelli percepiti, quelli latenti, quello che è il ranking dei bisogni, una classifica degli aspetti più o meno rilevanti, il customer journey e il processo di motivazione all’acquisto o al non acquisto;
• una parte di analisi è legata alla costumer satisfaction di clienti attuali, indaghiamo anche al livello di soddisfazione su diversi aspetti del prodotto o servizio;
• un’indagine approfondisce come i clienti attuali o potenziali leggono o interpretano le altre soluzioni presenti nel mercato, quindi quelle concorrenti rispetto al nostro cliente.

Perché le aziende necessitano di una strategia di Marketing guidata dai dati? In questo modo, la creatività viene meno/è condizionata?



È il mercato che ci obbliga a farlo perché non abbiamo più la possibilità di sbagliare così come si faceva negli anni ’80 e ‘90. Per quanto riguarda il rapporto tra strategia, data driven, e creatività io sono solito raccontarla con un’immagine, che è quella della centrale idroelettrica. Mi piace immaginare la creatività come una massa d’acqua che in quanto tale ha un’energia potenziale, perché ha una massa, un peso e un volume. Quando la facciamo convogliare in una direzione attraverso un tubo, genera davvero energia grazie a una turbina, energia che permette di accendere la luce che è anche quella che per noi rappresenta la lampadina della creatività. Che cos’è quel tubo? Rappresenta la strategia. Non solo non si toglie valore alla creatività, anzi! Più c’è strategia, più c’è forza creativa.



A cosa dovrebbe puntare un’azienda per un posizionamento di marca efficace e cucito su misura?

In questo caso ci viene in aiuto uno dei principi del marketing scientifico che ci dice che la scelta del fattore nel quale fondare il posizionamento di brand deve incrociare tre requisiti. Deve essere un fattore che al tempo stesso è interessante per la domanda, è distintivo rispetto alla concorrenza ed è sostenibile per l’azienda per le caratteristiche del servizio e del prodotto che sta offrendo. Infatti, il lavoro che facciamo per i nostri clienti è sviluppare questa triplice analisi, quindi sugli interessi della domanda, sull’analisi delle prestazioni dei servizi, e sulla concorrenza e incrociarle insieme per trovare qual è quel fattore che massimizza al meglio questi tre criteri. Ciò è un modo originale che il marketing scientifico ci dà per guardare il tema della selezione e della elezione del posizionamento, perché a volte certi approcci tendono a preferire la scelta in base a ciò in cui siamo più bravi oppure ciò che ci distingue di più. Questa è un’ottica in cui abbiamo tre punti di vista per determinare un unico fattore da eleggere a posizionamento di brand.

Quale plus rappresenta l’elemento vincente del posizionamento di Marca consentendo all’ azienda di essere sempre riconoscibile e di fare la differenza rispetto ai competitor?

Kevin Clancy, che è uno dei fondatori del marketing scientifico, ci dice che

il brand è ciò che sta nella mente del consumatore.

Per me questa definizione nella sua semplicità è illuminante perché ci dice che il brand non è quello che io come imprenditore penso di me. Non è quello che io come professionista comunico dell’azienda o del brand. È quello che sta nella testa dei clienti. Per creare davvero un brand forte occorrono non uno, ma due plus che corrispondono a due condizioni necessarie: per primo serve sapere dove puntare perché solo se ho verificato in maniera analitica e precisa dove puntare posso poi convergere tutte le mie energie. Secondo requisito è il fatto che ci sia una esecutività molto precisa e costante perché se noi tendiamo a differenziare troppo gli argomenti di vendita non riusciamo a diventare incisivi e penetranti nell’immaginario dei nostri clienti. E se non entriamo nella mente dei nostri consumatori non abbiamo un brand: abbiamo un logo, abbiamo un nome, ma non un brand.

Siamo vincenti se abbiamo scelto bene i punti dove scavare la roccia e se immaginiamo tutte le nostre azioni di marketing e di comunicazione come tante piccole gocce che, una dopo l’altra, scavano la roccia.

Tre aziende che hanno un posizionamento di marca ideale. In questi termini, ci sono aziende che hanno fatto un vero e proprio salto di qualità in quest’ultimo periodo e che l’hanno colpita?

Tre aziende a cui faccio sempre riferimento e che, a mio avviso sono particolarmente illuminate, sono:
Mercedes: parlo di un vero e proprio “miracolo Mercedes”. Quando incontro i miei studenti o gli imprenditori quando tengo corsi di formazione, sono solito chiedere: “Se vi dico Mercedes, che tipo di auto vi viene in mente? Che caratteristiche ha?” Tutti, ma proprio tutti (e l’ho posto a migliaia di persone questo piccolo test) mi rispondono: “Classe, Eleganza, Comfort”. Poi chiedo: “Quanti di voi hanno una Mercedes?”. Pochissimi alzano la mano. E infine: ”Quanti di voi si ricordano l’ultimo spot della Mercedes?”. Nessuno. E allora poi chiedo loro come sia possibile che abbiamo tutti la stessa idea di Mercedes nella testa? Ed perché lo definisco il “miracolo Mercedes”: perché ha un posizionamento di marca estremamente chiaro e preciso. Se pensiamo a un’auto elegante ci viene in mente Mercedes e se pensiamo a Mercedes ci viene in mente un’auto elegante e raffinata. Non siamo “bombardati” da Mercedes, non ci ricordiamo nemmeno l’ultimo spot! Eppure tutti ce l’abbiamo in testa. Ciò vuol dire che hanno fatto un lavoro meraviglioso.

• Il secondo esempio che cito spesso e che è sicuramente molto meno utilizzato è Mondo Convenienza perché ha attuato una strategia di leadership di prezzo con grande chiarezza e grande focalizzazione a partire dal nome per poi arrivare al pay-off “La nostra forza è il prezzo” come a voler sottolineare il nome. Quindi il copy non è particolarmente creativo, ma poco importa: il copy non deve puntare ad essere creativo, ma preciso e chiaro. Quindi seleziona un target ben preciso e determina le aspettative alle quali devono rispondere i prodotti per le attese dei clienti. Quindi, anche se noi ci immaginiamo sempre dei posizionamenti con maggior valore aggiunto, maggiore distintività, o qualsiasi tentativo per sfuggire alla tematica del prezzo, c’è anche una parte di aziende che correttamente lavora sul fattore prezzo e lo difende con grande arguzia e determinazione ed è un posizionamento vantaggioso in un periodo in cui, purtroppo, il prezzo assume un ruolo centrale nella decisione d’acquisto per moltissime persone.

• L’ultimo caso che cito è Velux, azienda di serramenti, perché lavora benissimo sul far emergere i bisogni dei clienti in ottica di posizionamento di brand e di comunicazione e fa un lavoro eccellente perché racconta i suoi prodotti non attraverso la tecnica ma attraverso i benefit dei clienti. Tutta la sua comunicazione ruota attorno alla luce e alla salubrità dell’aria nelle nostre case. Quindi, si distingue completamente da tutti quelli che parlano invece di infissi, doppiovetro, monocamera, serrature. Loro, in quanto esperti, parlano di luce e qualità dell’aria e sono focalizzati molto di più sull’aspetto consulenziale e di servizio che non sull’aspetto del prodotto.

Con l’avvento di Internet, con questo sovraccarico di informazioni e pubblicità cui veniamo bombardati ogni giorno, l’identità di un brand è a rischio? Se sì, come la si protegge?

Sicuramente sì, è a rischio per due motivi. Il primo è perché tutti noi abbiamo alzato incredibilmente le barriere percettive. Il nostro cervello, che è progettato per risparmiare energia e lo fa benissimo fin dai tempi della preistoria, seleziona per noi tutta una serie di stimoli e più siamo bombardati, più lui alza i muri: più vogliamo comunicare, in realtà meno lo facciamo e questo è un po’ un paradosso. Il secondo motivo è con l’avvento di Internet e del digitale nel senso lato, è cambiato il paradigma della comunicazione, ovvero siamo passati da una comunicazione a bassa frequenza ma ad alta intensità, ad un modello ad alta frequenza e bassa intensità. Provo a spiegarmi.
Fino a 10-15 anni fa voleva fare comunicazione voleva dire fare spot e campagne stampa. Non le si faceva sempre, perciò c’era una bassa frequenza, però erano azioni ad alta intensità perché avevano una grande copertura e una grande capacità di fare breccia nella mente delle persone. Oggi invece siamo passati, grazie al digitale, ai social network e a Internet, a un modello di comunicazione ad alta frequenza ma a bassa intensità: cioè le aziende possono comunicare più volte al giorno con un tweet, un post su Facebook, una foto su Instagram, o attraverso un’e-mail. Ma se tutte queste piccole azioni non sono convergenti rispetto a un focus strategico, perdiamo la capacità di essere efficaci.

Creare valore, generare business. Come si fa?

Prima di tutto a partire dall’indagine della domanda. Io dico sempre che il marketer deve essere una persona ossessionata dalla comprensione del cliente attuale o potenziale. Mi vengono in mente molte aziende in cui in tanti sanno tutto del prodotto ma davvero poco del cliente: viviamo di presunzioni o di supposizioni sui processi decisionali e valutativi del consumatore. Quindi per creare il valore per le nostre aziende dobbiamo creare valore per i clienti e solo capendo che cosa loro stanno davvero comprando e vogliono comprare, noi possiamo generare un nuovo business. Lo dico sempre: le aziende producono e vendono prodotti o servizi ma non è quello che i clienti comprano. I clienti comprano il loro punto di vista, il beneficio atteso da quel prodotto o servizio e spesso le aziende non sanno perché davvero i clienti li stanno comprando e quindi si perdono incredibili opportunità di business.

In un recente post ha scritto che le aziende conoscono bene il prodotto ma non il motivo per cui questo prodotto è stato acquistato dai loro clienti. Cosa deve fare un’azienda per venire a conoscenza di questo?

Chiedere, chiedere, chiedere e porsi in ascolto. Bisogna comprendere il meccanismo di ragionamento dei nostri clienti e non dobbiamo avere paura di chiedere. Io, in qualità di consulente, mi trovo spesso a lavorare in aziende e quando dico che bisogna fare delle interviste a clienti piuttosto che ad agenti o distributori, loro hanno quasi paura di disturbare e portare via del tempo. Per cosa? 20 minuti? E noto che quando si inizia questa attività di ascolto le persone per due ore non mi lasciano più, ma perché sono loro che vogliono che qualcuno gli ponga le domande giuste aspettandosi un atteggiamento di ascolto. Invece, troppo spesso, quando mappiamo il costumer journey e tutti quanti i touch point tra noi e i nostri clienti, lo facciamo perché vogliono mappare i punti di contatto dove possiamo comunicare o vendere qualcosa ai nostri clienti. Invece, quello che provo a fare, è rovesciare la motivazione per cui facciamo quel lavoro dicendo: “Ok, tutti questi punti di contatto devono diventare punti di ascolto del cliente perché

solo se partiamo dalla comprensione del cliente noi riusciamo a migliorare il nostro business”.

Il grande mantra che ripeto sempre è “Produci ciò che puoi vendere, non tentare di vendere ciò che hai prodotto.” Nei tanti anni di gavetta passati in un’agenzia di comunicazione, la modalità tipica era che l’azienda cliente aveva creato prodotto, packaging e punto di prezzo e chiamava noi, quelli del marketing/comunicazione, per essere aiutata a vendere. Sarebbe, invece, più corretto il procedimento inverso, ovvero, produrre ciò che possiamo vendere. Ciò vuol dire che dobbiamo partire dall’interrogarci sulle reali esigenze dei clienti attuali o potenziali e su ciò che fa la concorrenza prima di pensare al prodotto.

Quindi si tratta di capire prima di tutto il posizionamento di marca di un prodotto?


Assolutamente sì. Prima ancora di pensare al prodotto, penso a un posizionamento, e in funzione di quel posizionamento vado a costruire un progetto di prodotto o servizio che possa occuparlo, non il contrario.

Chi è Francesco Sordi

Francesco Sordi, consulente di marketing scientifico, docente universitario, imprenditore. Dopo anni di esperienza come strategic planner e responsabile marketing, dal 2012 affianca le aziende per supportarne i processi decisionali e di crescita grazie al marketing scientifico. Nel 2018 ha lanciato Surf the Market, la prima webapp al mondo per fare analisi e strategia di marketing scientifico.

www.istitutodelmarketingscientifico.it/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo e-mail non verrà pubblicato.

Potrebbe interessarti anche